sabato 9 febbraio 2013

The impossible

Il terribile Tsunami che nel 2004 devastò il sud-est asiatico visto con gli occhi di una famiglia di sopravvissuti. Il regista spagnolo Bayona, già noto per "The orphanage", dirige una produzione con un ottimo cast americano, e passa da un racconto di orrore fittizio a una storia a lieto fine completamente reale. Fin dalle prime scene è chiara la dicotomia tra la calma e la serenità del luogo incantevole in cui si svolgono gli eventi, e la paura e il caos che colpirà non solo persone ed edifici, ma anche gli equilibri emotivi che legano gli esseri umani, primi fra tutti i componenti della famiglia protagonista, costretta a ritrovarsi e a riscoprirsi. Ottimi gli effetti visivi, per quanto la tragedia sia solo lo sfondo per una pellicola che intende prima di tutto indagare gli affetti, e solo successivamente ricostruire il disastro. Proprio in questo si nota forse il punto più fragile del film, imbrigliato in molte scene nella sindrome da lacrima facile, e in netta difficoltà nel lasciarsi andare a un più crudo racconto di realismo. Notevoli comunque alcune scene, in cui Bayona mostra i dettagli cruenti del post tragedia, relegando tuttavia l'altrui dolore a poche, fragili situazioni. Straordinaria l'interpretazione del giovane Tom Holland, nuovo Billy Elliott, che tratteggia un Lucas coraggioso e commovente sia nelle scene in coppia con Naomi Watts (bello il dipanarsi del loro rapporto fatto prima di distanza, poi di profondo amore) sia in quelle in cui è solo davanti alla cinepresa. Produzione spagnola, anche nella perfetta colonna sonora di Fernando Velàzquez.

Per quelli convinti che l'amore dei propri cari possa far accadere l'impossibile. ♥♥½

sabato 8 settembre 2012

Come non detto

Commedia pop sul coming out e l'accettazione. Il venticinquenne Mattia (Josafat Vagni) è gay ma ha paura a confessarlo ai genitori e al mondo. Alla vigilia della partenza per Madrid, dove andrà ad incontrare il fidanzatino Eduard (Josè Dammert), sarà costretto dagli eventi a trovare il coraggio per dire quella che lui ritiene una tragica rivelazione.
L'esordio alla regia di Ivan Silvestrini, da un romanzo e una sceneggiatura di Roberto Proia, è finalmente una pellicola delicata e convincente che smorza i toni sull'identità sessuale e indaga il tema dell'omosessualità con un occhio che si mantiene ben equilibrato tra messaggio sociale e visione disincantata e comica. I personaggi di Come non detto - etero o gay che siano - sono alle prese ognuno con la presa di coscienza di sè, delle proprie fragilità, in una danza corale di nevrosi, tensioni, paure, frasi sussurrate o non dette, in cui però la risoluzione verrà in maniera automatica e senza il peso drammatico a cui registi come Ferzan Ozpetek ci hanno finora abituato: una sorta di alleggerimento dei temi, senza che vi si accompagni uno sminuire degli stessi. Il risultato è un film che parte con un equivoco e scorre via con poche impefezioni, composto da flashback tragicomici della vita di Mattia, impreziositi da battute sempre al posto giusto, sempre ben calibrate, grazie anche all'ottima interpretazione dell'intero cast, così perfetto nel mettere in scena ognuno i propri drammi della quotidianità. C'è la madre nevrotica (Monica Guerritore), il padre maschilista e donnaiolo (Ninni Bruschetta), la nonna che non si rassegna alla pensione, la sorella coatta sempre incinta del fidanzato meccanico, e poi ci sono gli amici di Mattia, unici custodi del suo segreto: la bellissima Stefania (Valeria Bilello), perdutamente innamorata di lui, e lo straordinario Giacomo (Francesco Montanari, "il libanese"), lavandaio di giorno e drag queen di notte, in qualche modo unico tramite con quel mondo che Mattia riesce solo a sfiorare senza aver mai il coraggio di abbracciare a pieno. Una commedia gay "normale", dove l'omosessualità è finalmente solo una caratteristica umana su cui poter ironizzare, e che strappa una lunga serie di risate al pubblico in sala. Una piacevole sorpresa riguardo a un tema ancora scomodo, che troppo spesso viene indagato con stupidi cliché o eccessiva enfasi.

Per quelli orgogliosi di sè ma con la paura di urlarlo al mondo. ♥♥½

mercoledì 7 settembre 2011

Con gli occhi dell'assassino

Il nome di Guillermo Del Toro nuovamente accostato ad un horror psicologico di provenienza spagnola, da alcuni anni florida patria del genere. Belen Rueda, sensualissima donna già vista in The Orphanage, indaga sulla misteriosa morte della sorella, apparentemente toltasi la vita a causa di una cecità peggiorativa che presto colpirà anche lei. Ma i dettagli del suicidio si fanno più offuscati via via che la pellicola procede e la vista della protagonista - e con lei quella di noi spettatori - va calando. Personaggi misteriosi la portano sulla pista di una misteriosa entità che vive nel buio, mentre le sue credenze vacillano e con loro anche la sua sanità mentale. Potremmo definirlo un thriller sulle orme di Hitchcock, grazie ad alcuni espedienti narrativi molto azzeccati (quando la protagonista a metà film diviene cieca, anche a noi spettatori non vengono più mostrati i volti delle persone con cui lei interagisce, lasciandoci al pari suo totalmente ignari di chi abbiamo effettivamente davanti), e per una tensione costante che proviene dai sensi alterati e dalla percezione costante dell'ignoto che ci circonda. Ma l'accostamento col maestro non può prescindere anche dell'evidenziazione di alcuni vuoti narrativi del film, in alcuni passaggi fin troppo semplicistico e aderente a un cinema moderno di maniera dove la paura è più "ambientale" che narrativa: rumore, figure che spuntano dal buio, urla. Non per questo un prodotto privo di una sua valenza stilistica, con decise interpretazioni ed un messaggio di fondo - quello dell'invisibilità e della paura nel disvelarsi - che rende il succo della storia molto più potente e ricco di quanto apparentemente ci si immagina avventurandosi nella sua visione.

Per coloro i quali non temono il buio e il suo nascondere le cose. ♥♥½

martedì 6 settembre 2011

Frozen

Paura e terrore dalle cose quotidiane: che succederebbe se si dimenticassero di voi sopra ad una seggiovia? Il regista Adam Green gioca sull'assurdo (ma nemmeno poi tanto) ficcando dentro a questa imbarazzante situazione i suoi tre protagonisti, sospesi loro malgrado sopra un'infinita e solitaria distesa di neve, senza possibilità di fuga seppure in una condizione di libertà totale. Appartenente al filone dell'horror claustrofobico - anche se la fobia non è generata dall'utilizzo di ambienti stretti, quanto piuttosto dall'idea di compressione fornita dalla situazione su cui dipana la storia - Frozen è forte di dialoghi semplici ma incisivi, in un crescendo narrativo dove di minuto in minuto apparirà sempre più chiaro - ai protagonisti come a noi - che l'attesa sulla seggiovia non è altro che l'attesa della morte. Buonissima fotografia e decise prove attoriali da parte dei giovani attori, meno brillanti alcuni espedienti di pericolosità a cui i tre verranno sottoposti: alla fine, diventa tutta una questione tra loro e i lupi. Feddo e glaciale, senza troppi fronzoli, e girato con un budget limitato, ma non per questo scarso: Frozen è terrore che nasce da dentro, da quelle ancestrali sofferenze che fanno parte di ognuno di noi, e che sembrano impossibili da provare fin tanto che una concomitanza di fattori inaspettati non ci pone davanti alla questione.

Per quelli che ogni volta che salgono sopra ad una seggiovia hanno la costante paura che possa cadere. ♥♥

mercoledì 27 aprile 2011

Cappuccetto Rosso sangue

La regista del primo Twilight rilegge una delle favole più famose del mondo, fornendole un'indole più horror e un aspetto da teen drama pruriginoso. Così Cappuccetto diventa un'adolescente vogliosa, contesa da due bellocci (il biondo e il moro, tanto per alimentare l'eterna lotta tra il fascino nordico ed elegante e quello mediterraneo e sensuale), la nonna si trasforma in un donnino sprint dai capelli rasta, e il lupo è immancabilmente mannaro. Il peso più grande nel seguire questo filmetto gotico non sta tanto nei dialoghi spesso imbarazzanti o nella costante idea che ogni scena sia lo scarto di qualche produzione più costosa, ma nel difetto evidente di non sapere mai generare la minima tensione nello spettatore. Il risultato è un'ora e mezza che scorre via senza che ci sia stata una reale utilità a tutto quello che è stato messo in scena: nessun approfondimento sul terrore generato dal lupo, nessuna suspance durante le sue aggressioni, nemmeno una reale necessità di parteggiare per l'uno o per l'altro dei due contendenti amorosi, dato che fin da subito appare chiaro quanto la lotta sia assolutamente impari. Cavalcare l'onda emotiva delle ragazzine sta diventando un pericoloso gioco al massacro, e porta verso film sempre più vuoti e approssimativi. Un peccato, perchè l'idea di base poteva essere interessante ed osare un po' di più nell'aspetto cupo della storia poteva generare un film quantomeno dignitoso e disturbante.

Per quelli che hanno esaurito le favole della buonanotte da raccontare alle proprie bambine. ♥♥

sabato 23 aprile 2011

Scream 4

La premiata ditta Williamson-Craven ritorna per il quarto capitolo della riuscita saga horror che negli anni '90 aveva saputo rilanciare il genere del teen splatter seriale addizionandolo con una gustosa vena umoristica. La portasfighe Sidney Prescott (Neve Campbell) fa una visita nella sua cittadina Woodsboro per promuovere il libro che racconta le tragiche vicende vissute dieci anni prima; un emulatore del killer Ghostface ritorna con lei, dando vita ad una nuova catena di omicidi ai danni di brufolosi adolescenti e procaci donzelle. "Nuovo film, nuove regole": ed ecco che gli autori provano a tenere in piedi la baracca superando loro stessi in ironia e comicità. La paura è quasi totalmente bandita da Scream, sostituita da un vero e proprio trattato sugli horror americani che mira da un lato a cavalcarne i clichè, dall'altro ad inquadrarli con vena critica con il pregevole tentativo di indicarne i difetti più lampanti e prenderne quindi le distanze. Il risultato è un film che sa ancora divertire, che presenta qua e là alcune trovate geniali (la sequenza a matrioska dell'inizio, lo spiegone dell'assassino e gli stupidissimi modi per non farsi scoprire, l'immancabile happy ending che in qualche modo ribalta le aspettative dello spettatore, ecc ecc), secondo un'autoironia più o meno implicita a cui Craven ci ha spesso abitutato nel suo cinema. In un'epoca in cui l'horror seriale appare stanco e fuori tempo, è gustoso lasciar scorrere via un'ora e quaranta di film dove agli effetti sonori spaventevoli si accavvallano battute dissacranti che distruggono il genere stesso rendendolo cinema sul cinema. Una delle poche saghe dove non ci si concentra su come o perchè morirà una vittima, ma piuttosto sull'osservare quali espedienti classici verranno utilizzati affinchè questo accada.

Per quelli che non si perdono mai nemmeno un horror pur sapendo che è la solita vecchia fuffa. ♥♥♥

mercoledì 23 marzo 2011

Sucker punch

Manicomi, sale da ballo, templi giapponesi, draghi, zombie nazisti, pistoleri meccanici, e un sosia di David Carradine: non è un incubo post cena a base di acciughe e peperoni, ma il delirio videoludico firmato da Zack Snyder, che nella sua ultima fatica ci presenta un concentrato pop in cui il cinema d'azione nipponico stringe la mano alla tamarraggine americana. La giovane Babydoll, in attesa di essere lobotomizzata per volere del crudele patrigno, trova il modo di sfuggire dall'ospedale psichiatrico in cui è internata rifugiandosi in un mondo di fantasia dove il reale diventa videogioco e tinge il tutto di salse fantasy. È difficile parlare di un prodotto dove l'immagine conta molto di più del soggetto, secondo un filo logico a cui il regista di 300 e Watchmen ci aveva già abituato: in Sucker Punch la cosa importante non sembra essere chi o cosa sia il centro della storia, quanto piuttosto seguirne le gesta all'interno di un grande piano dai contorni talmente assurdi da essere per questo geniali. Verità e sogno si uniscono per dar vita ad una pellicola che è l'emblema stesso dell'intrattenimento del 21esimo secolo, dove i fondali virtuali prendono il sopravvento fornendo all'immagine un'ambientazione a metà tra il fumetto e il videogioco, in una danza fatta di rimandi e citazioni a varie forme di spettacolo. Un calderone in cui trovano spazio games come Call of Duty, Doom, Dungeons & Dragons, ma anche film come Kill Bill, Terminator, e persino Moulin Rouge nella deliziosa scena cantata - completamente slegata dal contesto precedente -  che accompagna i titoli di coda. Completa il quadro un cast prepotentemente femminile (come in una moderna favola con protagoniste giovani Amazzoni), ed una colonna sonora zeppa di grandi hit rivistate in chiave rock, che donano alle scene un aspetto da videoclip. Un trip curioso, esperimento di cinema di sostanza e di grande tecnica visiva.

Per quelli che al cinema si porterebbero un joystick per comandare i protagonisti nelle scene in cui menano le mani. ♥♥♥½