venerdì 29 gennaio 2010

Come Dio comanda

Salvatores torna a far coppia con lo scrittore Ammaniti dopo lo splendore di Io non ho paura, ma questa volta il risultato è molta estetica con poco cuore. Rino e Cristiano (Filippo Timi e Alvaro Caleca), padre e figlio come due solitudini in rivolta, trascinano le loro vite alla ricerca della salvezza reciproca. Con loro passa le giornate l'unico amico, il disgraziato Quattro Formaggi (Elio Germano), divenuto mentalmente ritardato dopo un incidente sul lavoro. Il loro trio si dedica all'esclusione del mondo e alla lotta per la sopravvivenza del doloroso filo affettivo che li lega. Purtroppo, se il punto focale del racconto è rileggere la sofferenza inclusa nella necessità degli affetti, Salvatores fallisce il colpo mettendo in scena una serie di personaggi banalmente chiusi nella loro personalità ridotta. In verità Elio Germano il ritardato lo fa bene, in maniera quasi commovente. Ma se il suo personaggio è quello per il quale si può maggiormente accettare una mancanza di evoluzione, sono gli altri due - padre e figlio - ad infastidire per la loro marcata assenza di tonalità. Non è la recitazione il problema; piuttosto il fatto che dall'inizio alla fine si comportino in un modo piatto, distonico, arrogante ai limite della decenza e della sopportazione. Sono cattivi ma neanche poi troppo, amorevoli ma neanche poi troppo, crudeli ma neanche poi troppo. L'idea del microcosmo raggelante che dovrebbe unirli era il punto vincente sulla carta, ma viene resa malissimo sullo schermo: allora il loro rapporto sadomasochistico e totalizzante si fa inespressivo e inutile. Come a dire: non basta una svastica sul muro o uno "sporco immigrato" a creare un nazifascista. È questo il limite più grande di Come Dio comanda, che dà l'impressione di un prodotto gettato nella mischia, realizzato in fretta, senza l'anima dolce e reale che c'era dietro a Io non ho paura, esempio di perfetta calibrazione tra forma e sostanza. Resta tuttavia impressa la maestria che Salvatores dimostra nella meravigliosamente angosciante sequenza centrale, che sa compensare un inizio ed una fine poco folgoranti: la fotografia in mezzo al bosco cupo e tempestoso è splendidamente triste e dolorosa, e segna nettamente il confine tra innocenza e inganno, tra menzogna e resa.

Per padri e figli che si odiano e poi si amano. ♥♥♥

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